IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunciato  la  seguente  sentenza  sul  ricorso  n. 3580/1993
 proposto da Valeri Romeo, rappresentato e  difeso  dall'avv.  Antonio
 Funari,  nel  cui studio e' elettivamente domiciliato in Roma, piazza
 Acilia n. 4; contro  il  Ministero  della  Sanita',  in  persona  del
 Ministro   pro-tempore;   l'U.S.L.   n.  6  dell'Aquila,  in  persona
 dell'amministratore straordinario pro-tempore; per l'annullamento dei
 provvedimenti con i quali la  U.S.S.L.  n.  6  dell'Aquila  ha  fatto
 cessare  il  dott.  Valeri  dallo  stato  di  incompatibilita' di cui
 all'art. 4, settimo comma, della legge 30 dicembre 1941, n. 412;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto l'atto di costituzione in giudizio delle amministrazioni in-
 timate;
    Viste le memorie  prodotte  dalle  parti  e  tutti  gli  atti  del
 giudizio;
    Uditi  nella  pubblica  udienza  del  31  maggio  1993 il relatore
 consigliere Dedi Rulli, l'avv. Funari  per  il  ricorrente  e  l'avv.
 Presti  per  la  U.S.L.  intimata  e l'avv. D'Avanzo per il Ministero
 della sanita';
    Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
                               F A T T O
    Con provvedimento in data 11 gennaio 1993,  n.  5  l'unita'  socio
 sanitaria  locale  n.  6 dell'Aquila ha fatto decadere il dott. Romeo
 Valeri,  assistente  di  odontostomatologia  a  tempo  definitivo   e
 contemporaneamente   convenzionato   per  la  medicina  generale  dal
 rapporto di impiego, confermandolo nel rapporto convenzionale,  dando
 cosi'  applicazione  al  regime  di  incompatibilita'  derivante  dal
 disposto dell'art. 4, settimo comma, della legge 30 dicembre 1993, n.
 412, a norme del quale "con  il  servizio  sanitario  nazionale  puo'
 intercorrere un unico rapporto di lavoro".
    Avverso  tale  provvedimento  e'  stato  proposto  il  ricorso  in
 epigrafe  con  il  quale  si  deduce  una   articolata   censura   di
 illegittimita'  derivata,  sostenendosi  il  contrasto  dell'art.  4,
 settimo comma, della legge 30 dicembre  1991,  n.  412,  con  diversi
 principi costituzionali.
    Si  denuncia  in  primo  luogo la violazione degli artt. 3, 4 e 35
 della Costituzione  in  quanto  il  citato  art.  4,  settimo  comma,
 determinerebbe  una  ingiustificata  disparita'  di trattamento tra i
 medici che esercitano l'opzione per la conservazione del rapporto  di
 impiego e quelli che scelgono il rapporto convenzionale, posto che ai
 primi  viene  riservato  un trattamento di gran lunga piu' favorevole
 rispetto ai secondi, ai quali si impone una  drastica  riduzione  del
 proprio reddito.
    In  tal  modo,  la  facolta'  di scelta tra i due rapporti sarebbe
 soltanto apparente con la conseguenza che al medico che collabora con
 il servizio sanitario nazionale viene  sostanzialmente  impedita  una
 modalita' di esercizio della professione.
    La  violazione dell'art. 3 viene prospettata anche in collegamento
 con l'art. 97 della Costituzione sotto il profilo del  difetto  della
 ragionevolezza   della  norma  impugnata,  poiche'  la  regola  della
 incompatibilita' non sarebbe in grado di garantire un  maggior  grado
 di efficienza del servizio sanitario nazionale.
    Il  difetto  di  ragionevolezza  sarebbe  altresi'  ravvisabile in
 relazione al d.l. 19 settembre 1992, n. 384, convertito nella  legge
 n. 438/1992, che ha sospeso per tutto il 1993 il diritto dei pubblici
 dipendenti  di chiedere il collocamento in quiescenza. Ove infatti il
 medico avesse inteso optare per  il  rapporto  convenzionale  avrebbe
 dovuto  farlo  entro  il  31 dicembre 1992, ma a tale data non poteva
 conseguire la pensione per effetto delle norme sopra ricordate.
    Anche  per  tale  ragione  la   pretesa   "opzione"   non   poteva
 considerarsi una reale facolta' di scelta.
    Si  rileva  poi  che  alla  data del 31 dicembre 1992 con la quale
 entrava in vigore il regime di incompatibilita' non era stato  ancora
 stabilito  l'obbligo per le scritture sanitarie pubbliche di reperire
 gli spazi per  l'esercizio  della  professione  libera  intramuraria,
 obbligo  imposto solo con il d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, entrato
 in vigore dopo la scadenza del termine per opzione.
    La scelta del medico non poteva dunque  considerarsi  effettuabile
 sulla base di dati certi e completi.
    Si  denuncia  infine la violazione dell'art. 81 della Costituzione
 atteso che  la  disposizione  impugnata  non  reca  alcuna  copertura
 finanziaria  pur  comportando sicuramente un aggravio di spesa dovuto
 al passaggio del personale medico dal servizo  a  tempo  definito  al
 rapporto a tempo pieno.
    L'amministrazione  intimata si e' costituita in giudizio chiedendo
 il rigetto del gravame.
                             D I R I T T O